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All That Remains di Steve Sabella, uno specchio sulla questione palestinese | Luca Ferracane | Babbilonia Art

Tutto quel che ho scritto sinora si condensa magistralmente in uno dei lavori di Steve Sabella (Gerusalemme, 1975), artista palestinese in mostra nell’interessante collettiva Blocks, in esposizione all’Albergo delle Povere di Palermo e curato dalle due omonime Daniela Brignone – incredibile ma vero – l’una storica dell’arte e l’altra storica.
All That Remains, del 2018, è l’opera che mi ha rapito e spinto a questa riflessione. L’arte può essere strumento d’indagine della realtà, tra i più potenti e suggestivi. Ci fa riflettere, può farci indignare, provare disgusto, commuovere, turbare. In ogni caso, agisce su di noi come un medium, operando un’alterazione, alle volte mirata, della nostra percezione. E delle nostre idee o pregiudizi. Diventa specchio entro cui guardarsi, superficie nera, abisso dell’inconscio, serbatoio ignoto dove si annidano desideri e paure che non osiamo, più o meno consapevolmente, portare alla luce. E di una luce epifanica era avvolta quest’installazione costituita da un cubo trasparente contenente frammenti murari di una casa della Gerusalemme vecchia sui quali sono apposte delle foto di un’altra casa palestinese durante l’occupazione israeliana del 1948, che avrebbe portato poi alla nascita dell’attuale nazione. Sovrasta il tutto un frammento di legno proveniente dai binari del campo di concentramento di Auschwitz, perpendicolare alla faccia superiore del cubo. Un accostamento che spiazza e che lascia a una contemplazione silente in cui troppi pensieri vagano come impazziti nella mente.
Capisci forse che la storia dell’uomo in fondo non ha mai avuto davvero vincitori o vinti e che ogni mattone della nostra tanto progredita civiltà continua a essere fatto di lacrime e sperma, sangue e sudore. Ho avuto di nuovo la sensazione, al cospetto di quest’opera, di essere consapevole che la speranza è realmente un’illusione, l’ultimo dei mali contenuti nel mitico vaso di Pandora. Lo stillicidio di un’agonia cominciata col nostro apparire sulla Terra, alla quale nessuno è in grado di porre fine. Se solo potessimo dimenticare unicamente il male ricevuto, impedendogli di influenzare il nostro agire, allora forse riusciremmo a vivere felici, ignorando il rancore e la vendetta. Ma la sofferenza ci segna inevitabilmente e per sempre, più d’ogni altra cosa, costringendoci, nostro malgrado, a crescere e imparare, a conoscere il mondo. È solo così che, per contrasto, ogni microscopico gesto d’amore può trasformarsi nell’infinito potere di un miracolo.

 

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